Roberto Ferrari nasce nel 1955 a Casale Monferrato (AL).

Vive e lavora a Torino in Via Giordana 1.


L’artista ha conosciuto la pittura fin dalla

propria infanzia, grazie a sua madre, una valente pittrice e da allora ha sempre dipinto.

Il suo primo incontro con l’arte è però musicale. Suona il violino, la chitarra e la fisarmonica in gruppi di musica etnica e in formazioni teatrali. Sempre più interessato al violino, si dedica alla liuteria, costruendo e restaurando strumenti ad arco in una bottega nel centro storico di Torino. E’ un periodo importante, tuttavia alla fine degli anni novanta sceglie di ritornare alla pittura, soggiornando per cinque anni

a New York City, dove frequenta gli ambienti artistici di Soho e del Greenwich Village. Conosce esponenti della sperimentazione americana e scambia impressioni sulla ricerca artistica e il linguaggio pittorico comune.

Con l’andar del tempo la sua tecnica pittorica si fa sempre più intimista, fino a coniugarsi con la sua profonda spiritualità, vicina al mondo del Buddhismo Zen.

In verità, come ha scritto il critico d’arte Paolo Levi: ”I lavori pittorici di Roberto Ferrari sono Zen. Il resto è commento.”

Nel 2010 partecipa a concorsi di pittura nazionali. Nel marzo 2011 con la realizzazione di una mostra personale presso la Galleria Martorano a Torino, inizia il proprio percorso espositivo.

È presente nel Catalogo dell’Arte Moderna, Editoriale Giorgio Mondadori.


Paolo Levi presenta Roberto Ferrari

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Presentazione dell’artista

di Paolo Levi

Roberto Ferrari ha conosciuto la pittura fin dalla propria infanzia, grazie a sua madre, una valente pìttrice e da allora ha sempre dipinto.

La definizione che più si avvicina alla sua personalità è quella di “pittore individualista”. Questo perchè l’artista ha sempre desiderato che le sue opere appartengano a un collezionismo selezionato, in grado di comprendere il senso profondo del suo messaggio, legato indissolubilmente alla cultura spirituale Zen.

Il momento attuale vede Roberto Ferrari esprimersi nella piena maturità creativa, ed è per questo motivo che egli rivolge il suo messaggio spirituale in forme e contenuti accessibili ad un pubblico ampio ed eterogeneo.

il collezionismo di Roberto Ferrari è d’ambito industriale e finanziario, di un certo mondo intellettuale torinese legato alla casa editrice Einaudi.

Il percorso pittorico dell’artista risale alla metà degli anni settanta, un momento che lo trova parallelamente impegnato nel culto della musica, in particolare del violino, strumento che imparerà a suonare con evidenti soddisfazioni.

Rispetto agli artisti contemporanei Roberto Ferrari ama la riservatezza, e questo suo personale modo di interpretare il rapporto con gli altri lo porta a rivelarsi soprattutto attraverso l’amore per la musica, la pittura, e sovente tramite la letteratura e la poesia.

Pur vivendo e lavorando a Torino, l’artista ha sempre provato un grande amore per i viaggi, un interesse che lo ha portato a visitare l’India, il Nepal, la Namibia. Ma forse il soggiorno principale da un punto di vista umano e professionale è da considerarsi quello compiuto a New York City, città dove Roberto Ferrari ha vissuto per cinque anni, frequentando gli ambienti artistici di Soho e del Greenwich Village. L’artista ha avuto contatti con esponenti della sperimentazione americana, scambiando impressioni sulla ricerca artistica e i linguaggi pittorici comuni.

Parlando di rapporti con istituzioni estere, vogliamo ricordare le opere dell’artista esposte in esposizione permanente alla Galleria dell’Arte dell’Ucraina di Lviv e alla sede della Camera di Commercio italo-ucraina di Kiev.

Se New York City ha permesso a Roberto Ferrari di allargare i propri spazi conoscitivi attraverso il confronto con altri pittori, il momento più importante del suo percorso artistico è da ricercarsi nella sua permanenza in India, un paese dove ha potuto conoscere i valori del buddhismo, una filosofia che lo ha portato ad osservare una civiltà basata sul rapporto tra realtà, intesa in questo caso come arte, e vita interiore.

In questo contesto sono quantomai comprensibili i motivi per i quali Roberto Ferrari può essere considerato un caposcuola della pittura in chiave Zen in Italia.

Una condizione, quella di conoscitore dell’animo umano, che ha creato non pochi probleni alla crtitica d’arte italiana quando ha voluto “etichettare” la sua ricerca. Mentre l’informale europeo ed americano a livello di semplificazione critica ha sempre suddiviso tra espressionismo astratto e lirico, possiamo definire la pittura di Roberto Ferrari per comodità di giudizio lirico/informale.

Slanci dinamici della materia

di Andrea Domenico Taricco (Corriere dell’Arte)


    La prima impressione, innanzi alle opere di Roberto Ferrari, è che queste sviluppino un senso profondamente realistico catapultato sistematicamente in una dimensione legata al gesto, alla preponderanza del segno, attraverso l’innegabile profondità della materia. In altre parole sembra affrontare la realtà filtrandola con l’abilità tecnica degna della grande stagione dell’Informale, in cui l’atto del dipingere consiste nel coprire la tela con materie colorate liberamente accostate, impedendo quella differenza tradizionale tra fondo e figura, tra forma e spazio. Ritorna in auge una pittura veloce in cui la concezione formale è movimentata, resa dinamica in contrasto alla tradizionale staticità della pittura astratta.

L’integrazione che Ferrari affronta nelle sue tele tra realismo e sviluppo informale si integra armonicamente in un linguaggio volto a condurre lo spettatore nella sfera dell’emozionale, dell’esplosione subitanea razionalizzata e circoscritta nella forma. Sembra una contraddizione, ma è la caratteristica pregnante che contraddistingue uno stile deciso e determinato: da una parte emerge il progetto figurativo in cui la forma dei soggetti rappresentati diviene il contenitore essenziale della realtà, rielaborata per mezzo di una tecnica principalmente autografica, nell’esplosione di una pulsione interna espressa per mezzo del gesto tramite il connubio materia-colore. Le “Creature” di Ferrari sono esattamente la sintesi di queste due tipologie stilistiche che prendono vita ricreando la realtà ed annullandola nello stesso tempo. In opere come “Giraffa che beve” (2010) rappresenta l’animale nell’atto di abbeverarsi presso un rigagnolo d’acqua nera, forse petrolio, denunciando l’inquinamento ambientale, e colpisce il contrasto tra il fondo scultoreo ottenuto dal gesso in opposizione ai neri contorni della grafite sino agli scorci di luce ottenuti con la gomma lacca. Stesse considerazioni possono essere fatte per “Coppia di lupi” (2010) in cui nuovamente l’aspetto realistico e formale da una parte si amalgama all’effetto tecnico ottenuto dal gesto della pennellata dall’altro, riportando in luce la registrazione della foga creativa ai limiti dell’improvvisazione, in stretto rapporto ai canoni compositivi della musica jazz. Caratteristiche che il maestro ha ereditato grazie alla sua vasta esperienza considerando l’affezione per la musica ed in modo particolare per il violino che ha sviluppato in lui la ricerca alchemica dei suoni tramutati in colore, così come nell’antica arte del liutaio fondata sulla perfezione tecnica. La sua ricerca è avvenuta in contesti geografici completamente distanti tra loro, pensando ai lunghi periodi trascorsi tra gli Stati Uniti e l’India. Elementi che lo hanno condotto al capolavoro “Bisonte americano” (2010) in cui l’opposizione tra la resina vinilica e la polvere di grafite soffiata via, riporta alle grotte di Lascaux, al senso primitivo e stilizzante della forma, in cui prendono posto l’audacia del gesto e la compiutezza del segno. L’arte del maestro Ferrari, insomma, porta lo spettatore fuori dal quadro, al momento dell’azione, utilizzando sovrapposizioni materiche che proiettano il flusso vitale oltre il contingente. Il dinamismo delle sue creature sintetizza questo slancio verso l’infinito.

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Dal catalogo “Italian week”, esposizione di artisti italiani in Ucraina

di Paolo Levi


Possiamo definire Roberto Ferrari un pittore dell’anima, un’artista aperto al mondo, legato indissolubilmente ai valori del buddhismo e in particolare alla cultura spirituale Zen.

Se in apparenza i lavori di Ferrari possono sembrare informali, in verità la sua pittura allude alla natura in chiave essenzialmente lirica. Si legge nei suoi dipinti una frammentazione di quell’immagine pittorica a cui siamo abituati, in favore di un flusso di energia vitale che scaturusce dall’accostamento di colori, mutuato da un percorso visivo e dialettico vicino alla sperimentazione.

Le opere di Roberto Ferrari consentono di cogliere un’armonia espressiva libera da condizionamentìi, pronta a dialogare con la materia, con il colore.

I suoi “intrecci” altro non sono che la metafora stessa della sua pittura, dove segno e colore si mescolano a favore di un’arte pura.

Roberto Ferrari, intrecci di emozioni e colori

di Stefania Bison

articolo apparso sulla rivista “Effetto Arte” n. 6 novembre-dicembre 2012


Intrecci di colori che si muovono sulla tela, si intersecano e si rincorrono, per poi allontanarsi, quasi a creare una danza, una delicata e armonica sinfonia giocata su calcolati contrappunti cromatici. Roberto Ferrari è pittore legato alla pura astrazione anche se i suoi esordi, e una parte importante della sua maturazione stilistica, sono vicini alla figurazione. Con il passare degli anni, le sue immagini si sono gradualmente dissolte nell’informale lirico, sino a giungere a lavori che giocano sempre di più su un processo di sottrazione della materia.

Rispetto all’opera “Intreccio nero su sfondo rosso e ocra n.2” del 2011, dove il supporto è quasi interamente nascosto dal groviglio, sapientemente realizzato e mai casuale, di filamenti di colore, la recente tela “Presenze e dissolvenze” del 2012 si presenta invece essenziale agli occhi di chi guarda, lasciandolo libero di leggerla - e viverla - in base alle emozioni del momento.

Le opere di Ferrari sono rivelazioni intense ed ermetiche che si trasfigurano in una comunicazione suadente, dove le emozioni si espandono e si trasformano in messaggi. La scelta dell’informale appare pertanto inevitabile, proprio per la forza liberatoria messa in atto per dare senso e peso a una narrazione soggettiva, che risale dall’inconscio. Per Roberto Ferrari l’informale è soprattutto la chiave metodologica di un’indagine su se stesso, un mezzo per riportare sulla tela l’indicibile, un mezzo specifico per fare riemergere il rimosso in chiave di esplicito riconoscimento dell’io più nascosto. Eseguire forme del tutto astratte e senza alcuna attinenza con il conoscibile, significa per l’artista liberarsi dai limiti della rappresentazione naturalistica, per privilegiare il gioco cromatico e soprattutto la libertà interpretativa dei suoi stati d’animo. Per comprendere appieno la produzione artistica di Roberto Ferrari non possiamo prescindere dal suo profondo, e direi indissolubile, rapporto con la musica. L’artista ha esercitato in passato  la delicata e raffinatissima arte del liutaio, e questo dato ineludibile ha fortemente influenzato la sua espressività, sia dal punto di vista del rigore nell’elaborazione del costrutto visvo, che dell’armonia formale dell’intreccio coloristico.

La musica diventa così il trait d’union fra i due regni che appartengono all’uomo, quello spirituale e quello materiale; la fusione fra l’uno e l’altro esplode in un unicuum che produce poetiche sinestesie, ovvero visioni informali coniugate in musica.